Cosa dice la legge sulla canapa in Italia
Nel nostro paese c'è una difficoltà legata al fatto che da noi la canapa è inquadrata in un duplice regime normativo.
La legge di riferimento per la canapa è la L.242 del 2 dicembre 2016 (“Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”).
Questa legge disciplina in Italia la produzione di canapa industriale e secondo questa legge la canapa è considerata pianta agricola e industriale.
La legge si applica unicamente alle varietà ammesse nel Catalogo comune delle Varietà di specie delle piante agricole ottenute tramite sementi certificate.
Di fondamentale importanza ai fini legislativi è il Testo Unico Stupefacenti (DPR 309/1990, a eccezione “della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali consentiti dalla normativa dell'Unione europea” (art.14).
Secondo tale Testo: qualsiasi varietà di canapa, indipendentemente dal suo tenore di THC, quanto a fiori, foglie, oli e resine, è classificata come pianta da droga.
Dalla lettura ed interpretazione della legge 242 e del Testo Unico Stupefacenti nascono le ambiguità tra gli usi leciti e quelli illeciti della pianta.
In pratica succede che: La legge 242 dichiara che le varietà ammesse nel Catalogo comune “non rientrano” nell'ambito di applicazione del Testo Unico Stupefacenti (art.1, comma 2).
Da ciò dovrebbe automaticamente scaturire che si può coltivare, trasformare e commercializzare qualsiasi parte della pianta in tutta sicurezza, senza incorrere nei reati penali previsti dal Testo Unico Stupefacenti, rispettando ovviamente le normative specifiche dei settori di utilizzo (tipo alimentare, cosmetico e così via);
Ma, come scritto, il Testo Unico Stupefacenti riconosce l'eccezione solo “per la produzione di fibre o per altri usi industriali consentiti dalla normativa dell'Unione europea”.
Il problema centrale è che né la normativa italiana né quella europea citano espressamente le infiorescenze tra le parti utilizzabili, pur non proibendole esplicitamente.
Da qui, da questa che è evidentemente una contraddizione in termini, un'ambiguità, nascono una serie di problemi che non si riescono a risolvere.
Cosa dice la legge 242/16
Come già accennato, la legge n. 242/16 ha portato al via del mercato dei derivati della cannabis, compresa la marijuana light.
Naturalmente, non si tratta di sostanze stupefacenti, bensì di un prodotto a basso contenuto di THC (acronimo di tetracannabinolo), il principio attivo che rende psicoattivi i derivati della canapa.
Nel rispetto dei limiti individuati per decreto dal Ministero della Salute (decreto 4 novembre 2019), la marijuana legale presenta concentrazioni di THC non superiori a 5 mg per kg, pari allo 0,5%.
Essendo molto bassa la quantità di principio attivo, la sostanza non produce effetti psicotropi né provoca assuefazione e risulta di fatto innocua.
Secondo quanto statuito dalla normativa di riferimento, tali derivati vengono prodotti utilizzando piante di canapa la cui coltivazione avviene a partire da semi certificati.
In tal modo, viene garantito il rispetto dei limiti di THC individuati dal Ministero della Salute.
Proposta di Decreto legge
Ciò che si vorrebbe ottenere è la possibilità di l'impiego di tutte le parti della pianta di canapa industriale per gli usi previsti dalla legge. Basterebbero minime modifiche alle attuali leggi.
Dopo una serie di tentativi si è arrivati alla proposta di legge presentata dall'intergruppoa che prevede la regolamentazione della coltivazione personale e di gruppo della cannabis e della sua vendita.
In particolare, secondo questo Ddl, sarà ammessa la coltivazione di massimo 5 piante di cannabis (previa comunicazione) e la detenzione di 15 grammi di cannabis in casa o di 5 grammi fuori dal domicilio (oltre ai frutti della coltivazione);
Sarà inoltre aperta la strada ai Cannabis Social Club sul modello spagnolo, con la possibilità di coltivare cannabis e distribuirla senza scopo di lucro ad un massimo di 50 associati, che dovranno essere maggiorenni e residenti in Italia; infine è prevista anche l'apertura di dispensari sotto il controllo dello Stato per la vendita della cannabis al dettaglio.
Nemmeno un referendum sulla depenalizzazione della coltivazione ha portato ad una soluzione del problema legislativo.
Il referendum chiedeva la depenalizzazione di qualsiasi pianta per uso personale mantenendo le pene legate alla detenzione, alla produzione e alla fabbricazione delle sostanze e, l'eliminazione della sospensione della patente di guida per uso di stupefacenti.
Il referendum sulla cannabis è stato giudicato inammissibile.
Il quesito referendario, come detto, proponeva di intervenire sia sul piano della rilevanza penale sia su quello delle sanzioni amministrative, per un intreccio di commi il referendum è saltato.